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Processo Aldrovandi: colpevole silenzio mediatico

 

Processo Aldrovandi: colpevole silenzio mediatico

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inviato da karma
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Il processo di primo grado per la morte di Federico Aldrovandi, avvenuta a Ferrara il 25 settembre del 2005, è arrivato a conclusione. Il Tribunale ha condannato quattro agenti di polizia a tre anni e sei mesi per “eccesso colposo”: li ha giudicati responsabili di aver infierito sul ragazzo, che avevano ammanettato e steso per terra a faccia in giù. Ma la sentenza deve essere arrivata come una sorta di fulmine a ciel sereno per la gran parte dell’opinione pubblica italiana. Il processo, infatti, è andato avanti per mesi nel quasi totale disinteresse dell’informazione: bastano le dita di una mano per contare i quotidiani, i telegiornali e gli spazi di approfondimento televisivo (“Chi l’ha visto?”) che hanno seguito con continuità la vicenda. Eppure è stato un processo molto interessante, sostengono i pochissimi cronisti che l’hanno frequentato: un processo in cui alcune prove si sono formate proprio in aula, durante il dibattimento. Eppure si dice che di questi tempi la cronaca nera e la giudiziaria “tirino” molto. Eppure la passione dell’informazione per le aule di giustizia e per la ricostruzione dei processi negli studi tv è così accentuata che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha sollecitato e ottenuto l’adozione di un “Codice di autoregolamentazione in materia di rappresentazione di vicende giudiziarie nelle trasmissioni radiotelevisive”. Come mai, allora, del processo Aldrovandi non ce ne siamo curati? Non si può non mettere a confronto questo silenzio con il clamore mediatico che, da mesi, continua ad esserci intorno al processo di Perugia, seguito udienza per udienza, con professionale scrupolo. Una semplicissima ricerca di parole-chiave sulle principali agenzie di stampa, negli ultimi 30 giorni, dà questo risultato: “Meredith” compare in 156 lanci, “Aldrovandi” in 6 (inclusa la sentenza). Difficile sostenere che a Ferrara si sia esaminato un fatto di minore rilevanza rispetto al delitto Kercher. Anche lì c’è una giovane vita stroncata; anche lì c’è il dolore di una famiglia. Ma ci sono una cosa in più e una cosa in meno, nella storia di Federico. In più c’è il coinvolgimento di agenti di polizia: è una vicenda che spinge ad interrogarsi sul modo in cui alcuni intendono il ruolo di “forze dell’ordine”. Una questione che potenzialmente riguarda noi tutti, visto che tutti beneficiamo ogni giorno - per fortuna - della sicurezza che gli agenti garantiscono. In teoria, dunque, questo elemento avrebbe dovuto accrescere l’interesse per la storia. Oppure proprio il coinvolgimento di agenti di polizia ha funzionato da freno, spingendoci all’autocensura? Ma c’è anche una cosa in meno: a Ferrara non c’è sesso, nella vicenda che ha portato alla morte del giovane Aldrovandi. Nessuna possibilità di “arricchire” il racconto con tracce di Dna, reggiseni, ipotesi sulle relazioni tra i giovani coinvolti. E’ un dubbio consistente: sarà mica per questo che Perugia ci interessa tanto e Ferrara quasi per niente? Ed è un dubbio che fa male, soprattutto in queste settimane in cui il giornalismo italiano sta combattendo una sacrosanta battaglia contro il disegno di legge sulle intercettazioni. La stiamo conducendo in nome del diritto dei cittadini di continuare a conoscere vicende di indubbio rilievo pubblico. Rifiutiamo di essere raffigurati - come invece tendono a fare i sostenitori del provvedimento - alla stregua di una corporazione di guardoni, interessati a pubblicare le intercettazioni soprattutto perché vogliosi di mettere in pagina i particolari più pruriginosi che emergono dalle trascrizioni delle telefonate. Difendiamo un’idea di cronaca che misura gli eventi in base alla loro rilevanza sociale, più che al loro potenziale erogeno. La difendiamo contro chi, dall’esterno della professione, vuole metterci il bavaglio. Ma forse gli avversari non sono solo fuori di noi.

*Presidente Fnsi

Chi riprenderà l’appello lanciato dal presidente della FNSI Roberto Natale a proposito del processo Aldrovandi. Per quale ragione la vicenda del giovane ferrarese morto in seguito alle violenze subite da parte di alcuni rappresentanti delle forze dell’ordine non è stata ritenuta degna di attenzione.

Eppure un centesimo del tempo dedicati ai vari delitti di Perugia e di Garlasco sarebbe stato sufficiente a rendere giustizia ad una famiglia che ha dovuto lottare contro bugie,veline di ogni tipo,silenzi indicibili e insopportabili. Eppure una corretta e ampia informazione avrebbe anche permesso di distinguere tra i poliziotti,la stragrande maggioranza che fanno il loro dovere, e chi invece ha ritenuto,stando alla sentenza,di abusare gravemente delle sue funzioni.

Vogliamo sperare che almeno uno dei tradizionali luoghi degli approfondimenti televisivi voglia puntare i propri riflettori su questa vicenda.
di Giuseppe Giulietti

Tratto da www.articolo21.info

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